MEDITAZIONE
Global Peace meditation and Prayer Day 200818 MAGGIO 2008 GLOBAL MEDITATION DAY
Global Peace meditation and Prayer Day 2008
Giornata mondiale di meditazione e preghiera 2008
“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” - Mahatma Gandhi
In tutto il Pianeta, domenica 18 maggio, numerosi gruppi di persone si riuniranno per meditare
insieme per la pace e l’armonia sulla terra. Un evento straordinario
che mette in profonda relazione diversi gruppi spirituali, dall’Africa
al Tibet, dall’Indonesia alle Americhe per ventiquattro ore.
Popoli
e nazioni, ognuno con la propria originalità, il proprio costume, il
proprio linguaggio si immergeranno in quel silenzio divino che risiede
nella parte più profonda dell’uomo e lo porta nella dimensione della
coscienza planetaria.
La
sincronizzazione tra le persome dei cinque continenti ha lo scopo di
ridurre il livello di conflittualità e violenza nel mondo e aiutare a
diffondere una maggiore comprensione, tolleranza e capacità di vivere in
pace con i propri vicini, sia prossimi sia lontani, e con la natura. Il
pensiero consapevole ha un effetto concreto sulle persone: quando molte
persone si riuniscono per focalizzare la propria coscienza sulla pace
nel mondo, il risultato può essere estremamente significativo per la
diffusione dell’ amore e dell’armonia e per innalzare e le onde vibrazionali del pianeta.
News: ERVIN LASZLO E SWAMI KRYANANDA ad ASSISI
La
comunità di Ananda Assisi, che da molti anni ha fatto della meditazione
un momento centrale della sua esperienza, è stata scelta, insieme al Villaggio Globale di Bagni di Lucca, come punto di riferimento per l’Italia.
Se non riuscirete a unirvi fisicamente alla meditazione
nei vari centri, potrete farlo tranquillamente a casa, dalle 10.00 alle
11.00 oppure in qualsiasi altro momento di questa giornata: sarà un
contributo importante per la pace globale - mercoledì, 30 gennaio 2008.
I frutti della meditazione
Al
giorno d’oggi si soffre sempre di piú, sia per mali psico-fisici come
la tensione nervosa, l’affaticamento, lo stress, l'ansia, l'eccessivo
controllo, la depressione,gli attacchi di paure improvvise quanto
irrazionali, l’emicrania, l’eccessiva pressione sanguigna... sia per
mali spirituali come l' infelicità, la costante insoddisfazione,
l'instabilità mentale ed emotiva, il dubbio, l' indecisione e lo
sconforto... C’è quindi molto bisogno di tecniche, di vie, come appunto
la meditazione, che aiutino ad affrontare la vita con serenità e
un giusto distacco, e che possano essere utilizzabili subito, nelle
varie condizioni in cui ci si viene a trovare di giorno in giorno. Con la pratica della meditazione, che da tecnica diventa, a poco a poco, sempre di più stile di vita la coscienza si fa gradualmente sempre piú acuta e consistente. Come
risultato della continua pratica, il meditante impara ad aver coscienza
delle sensazioni in modo completamente distaccato, senza desiderio o
avversione, e continuando nell’osservazione distaccata, a notare come le
sensazioni vadano e vengano. Incomincerà a rendersi conto che tutte le
sensazioni, piacevoli e spiacevoli, sono comunque impermanenti, caduche,
del tutto temporanee perciò si impara con la pratica a non attaccarsi
alle esperienze, sensazioni ed emozioni positive, piacevoli, ne' a
disperarci e cercare di allontanare con forza e con ogni mezzo le
sensazioni sgradevoli..anche perchè è proprio così che ci si lega di più
ad esse. Per fare un esempio
molto chiaro (chiunque può farne esperienza le prime volte che medita)
capita che, avuta la consegna di concentrarsi solo sul respiro e di
riportare sempre in modo fermo l'attenzione solo sul respiro, lasciando
che i pensieri passino e se ne vadano...il meditante si ritrovi sommerso
da pensieri persistenti di ogni tipo e cerchi in tutti i modi di
allontanarli o reprimerli...non riuscendoci può cominciare, se persiste
in quell'atteggiamento di voler a tutti i costi allontanare da se'
l'esperienza sgradevole che sta provando, a sentire impazienza e perfino
rabbia. Potrebbe semplicemente lasciar perdere, lasciare che i pensieri
transitino e riportare l'attenzione al respiro.
A mano a mano che si impara a fare questo ci si "ripulusce", si sradicano le impurità e come frutto della meditazione si consente alla purezza di mettâ, karunâ, muditâ ed upekkhâ di svilupparsi.
Nel Buddismo mettâ significa amore non-condizionato, amore puro, benevolenza, amore universale, infinito o senza limiti. Ci sono vari tipi d’amore fra gli esseri umani. C’è l’amore dei genitori per i figli, quello del marito per la moglie, quello della moglie per il marito, l’amore fraterno, l’amore fra uomo e donna, quello fra parenti ed amici. Ma nessuna di queste forme è ancora mettâ, amore puro. Esse sono tutte radicate nella brama (lobha), nel desiderio (upâdâna) e nell’ ignoranza (moha).
Karunâ significa compassione, pura compassione, infinita o compassione senza limiti. Esistono molti tipi di compassione. Se il nostro prossimo o i nostri cari soffrono, in noi nasce la compassione: incominciamo a condividere la loro miseria e il loro dolore a causa dell’affetto che nutriamo per loro. Ma se a soffrire è qualcun altro, per il quale non abbiamo attaccamento, allora non sentiamo compassione, non sentiamo la sua miseria come nostra. Questa non è karunâ, infinita compassione. Similmente, se le persone a noi care sono felici e fortunate, ci sentiamo felici per loro a causa del nostro affetto. Anche questa non è muditâ, gioia compartecipe, perché è radicata nell’ignoranza.
A mano a mano che si impara a fare questo ci si "ripulusce", si sradicano le impurità e come frutto della meditazione si consente alla purezza di mettâ, karunâ, muditâ ed upekkhâ di svilupparsi.
Nel Buddismo mettâ significa amore non-condizionato, amore puro, benevolenza, amore universale, infinito o senza limiti. Ci sono vari tipi d’amore fra gli esseri umani. C’è l’amore dei genitori per i figli, quello del marito per la moglie, quello della moglie per il marito, l’amore fraterno, l’amore fra uomo e donna, quello fra parenti ed amici. Ma nessuna di queste forme è ancora mettâ, amore puro. Esse sono tutte radicate nella brama (lobha), nel desiderio (upâdâna) e nell’ ignoranza (moha).
Karunâ significa compassione, pura compassione, infinita o compassione senza limiti. Esistono molti tipi di compassione. Se il nostro prossimo o i nostri cari soffrono, in noi nasce la compassione: incominciamo a condividere la loro miseria e il loro dolore a causa dell’affetto che nutriamo per loro. Ma se a soffrire è qualcun altro, per il quale non abbiamo attaccamento, allora non sentiamo compassione, non sentiamo la sua miseria come nostra. Questa non è karunâ, infinita compassione. Similmente, se le persone a noi care sono felici e fortunate, ci sentiamo felici per loro a causa del nostro affetto. Anche questa non è muditâ, gioia compartecipe, perché è radicata nell’ignoranza.
Muditâ significa pura gioia compartecipe, infinita gioia compartecipe, per tutti gli esseri, conosciuti e sconosciuti, senza alcuna discriminazione.
Upekkhâ significa equanimità.
È un perfetto, incontrollabile equilibrio della mente, saldamente
basato sull’insight. Nella misura in cui ci si riesce a liberare
dall’attaccamento al concetto di se stessi (l’«io» e il «mio») tanto piú
ci si ritrova colmi d’equanimità. Ogni stato comprende l'a l’uno
comprende gli altri e viceversa. Finché nell’intimo saremo impuri o
contaminati, non potremo dare questo amore puro agli altri esseri.
Questo amore si trova oscurato o bloccato dalle nostre impurità. Ma, una
volta che si è incominciato a purificarsi con la meditazione, nella
misura in cui l’impurità sarà stata rimossa, si sarà proporzionalmente
capaci di amore incondizionato verso gli altri - martedì, 29 gennaio 2008
A cosa serve meditare?
"La
meditazione è solo una tecnica per raggiungere lo stato dell'estasi, lo
stato di ebbrezza divina. E' una tecnica semplice, ma la mente la rende
molto complicata. La mente deve renderla molto complicata e difficile,
in quanto le due realtà non possono coesistere. La meditazione è la
morte della mente; naturalmente, la mente si oppone ad ogni sforzo teso
verso la meditazione. L'osservazione è la chiave della meditazione.
La
pratica meditativa, come in genere viene oggi concepita e vissuta, è
una costante educazione della mente alla presenza che ascolta. E'
presenza nel presente, è consapevolezza, è stare con le cose così come
sono, è educazione all’ ascolto del reale, non importa se grande o
piccolo, gratificante o meno, considerato importante dalla nostra mente o
di poco conto.
Gli
strumenti utilizzati per educare la mente a quest'attitudine di
presenza e di ascolto sono, in genere, il respiro, il corpo e le sue
sensazioni, l'ambiente attorno a noi con tutto ciò che lo abita, il
mantra, l'osservazione silenziosa di tutto ciò che si affaccia
sull'orizzonte della nostra coscienza.
La meditazione non è né cristiana, né buddhista, né induista, né sufi. La meditazione è uno stato di coscienza ed è una pratica che trascende le religioni e i vari movimenti, è senza etichette.
Osserva
la tua mente. Non fare nulla. Limitati a osservare qualsiasi cosa
faccia la mente. Non disturbarla, non prevenirla, non reprimerla; non
fare assolutamente niente in prima persona. Limitati a essere un
osservatore. E il miracolo dell'osservare, è meditazione.
Allorché
ti limiti a osservare, pian piano la mente si svuota di pensieri. Ma
non ti addormenti, al contrario divieni più sveglio, più consapevole. E
con lo svuotarsi della mente, la tua energia diviene una fiamma di
risveglio. Allorché la mente è assolutamente assente - se n'è andata del
tutto, e non la riesci più a trovare da nessuna parte - per la prima
volta, diventi consapevole di te stesso, perché la stessa energia che
era assorbita dalla mente, non trovandola più, si ribalta su se stessa.
Grazie
all'osservazione, la mente e i pensieri scompaiono. E il momento più
estatico, si ha quando ti ritrovi pienamente all'erta, senza che esista
in te un singolo pensiero... ma solo il cielo silente del tuo essere
interiore.
Questo
è il momento in cui l'energia si volge all'interno: questa inversione è
improvvisa, è repentina! E quando l'energia si volge all'interno, porta
con sé una gioia infinita. Quando la meditazione ritorna alla propria
sorgente, esplode in una gioia immensa. Questa gioia, nel suo stadio
supremo, è illuminazione. (OSHO)- continua
Meditazione: che cosa è la meditazione?
Che cosa è la meditazione?
Inizia qui una serie di post dedicati alla
meditazione, un piccolo spazio che ha il semplice scopo di introdurre
l'argomento e di cercare di fare luce, nel modo più semplice possibile,
su cosa è la meditazione, come si può praticare, a cosa serve e quali
frutti produce.
Descrivere la meditazione è
come descrivere il sapore di una pesca matura: in realtà bisogna
provarne il gusto, farne esperienza, per sapere di cosa si parla: la
meditazione è soggettiva, è un fenomeno esperienziale, semplicemente
esistenziale, come l’esperienza della bellezza, dell’amore...bisogna
FARNE ESPERIENZA.
Da circa 20 anni pratico la
meditazione così come l'ho appresa da vari maestri di tradizione
induista..e ho fatto esperienza con molte tecniche, dalla MT
(meditazione trascendentale) di Maharishi, alla Vipassana, Kundalini,
Dinamica, Nataraji (Osho), Respirazione nei chakra....
Da circa un mese ho iniziato a
frequentare appunto per fare esperienza, un programma di meditazione
buddista tibetana, della tradizione mahayana, ritengo che il seguente
estratto ben riassuma il significato primo e ultimo della pratica della
meditazione secondo il buddismo.
Qualunque sia la tecnica di
meditazione,comunque, costante a tutte rimane l’attenzione,
l’osservazione di tutto ciò che accade. La qualità dell’osservazione
attenta, consapevole, si espande piano piano all’intera
giornata. L’accadere quotidiano
acquista un altro sapore. Ci scopriamo al centro di una giostra di
avvenimenti e scopriamo che in mezzo ad essi c’è qualcosa del nostro
essere, un nucleo fermo e profondo che rimane inalterato, immobile,
testimone. Scopriamo che ciò che accade fuori di noi, emozioni e
pensieri, è ancora periferico, è ancora oggetto della nostra
osservazione. Il soggetto, ciò che siede al centro della giostra e
osserva, non si confonde più con gli oggetti. Si tratta di un processo;
la capacità di disidentificarsi.
Ancora però non mi ero mai avvicinata fino ad oggi alla pratica della meditazione secondo il Buddismo tibetano..
Ho frequentato negli anni il centro Lama Tzong Khapa (www.iltk.it) di POMAIA (PI) ,
conosco limitatamente alcuni testi sacri (Sutra del diamante, Sutra
del cuore..) e mantra profondi e ricchi come "MANE PADME OM"...questo
sì, ma non mi ero mai spinta a "praticare" secondo questi antichi
insegnamenti.
«Non chi vince mille volte mille uomini in battaglia, ma colui che conquista la propria mente è un vero vincitore»(Dammaphada, v.103)
-continua.
Come si medita?
Meditazione Vipassana.
Alla base della meditazione buddista c’è l’osservanza dei cinque
precetti: astinenza dall’uccisione, dal furto e dalla menzogna, da una
sessualità disordinata e da sostanze inebrianti. Non importa se si siano
o no osservati questi precetti prima di incominciare la pratica.
L’importante è che, nal momento in cui si comincia, si cominci anche ad
osservare i precetti. Essi sono necessari, perché queste cinque azioni
distruttive e autodistruttive sono il frutto dei nostri errori mentali
nonché la causa profonda dei mali dai quali cerchiamo di liberarci.Il
Buddha, infatti, cercava un modo per porre termine alla sofferenza una
volta per tutte. Infine scoprí questa via incominciando ad osservare in
se stesso la natura della mente e della materia e con questo sistema
riuscí a conseguire la verità ultima: lo stato di nirvâna.
La
meditazione buddista si divide in due branche principali: samâtha (o
samâdhi), o concentrazione, e vipâssanâ, o purificazione. Lo scopo del
samâtha è quello di farci assorbire completamente nella meditazione. Lo
scopo della vipâssanâ è di farci capire la vera natura della mente e
della materia. Con la vipâssanâ possiamo sradicare le impurità piú
sottili, o sankhâra (condizionamenti mentali), create dalle nostre
azioni passate o presenti. Quando s’incomincia a praticare la
meditazione per la prima volta, dal momento che il corpo e le sue
sensazioni sono piú facili da osservare, la maggior parte dei maestri
preferisce partire da questi. Solitamente s’incomincia
contemporaneamente con la concentrazione sul respiro e sulle sensazioni
del corpo, anche se, tradizionalmente, la concentrazione sul respiro è
considerata il primo oggetto della meditazione samâtha. Osservando
regolarmente il respiro, il meditante giunge a comprendere la natura dei
processi fisici e mentali. Se poi presta attenzione alle sensazioni del
corpo, arriva a comprendere non solo la natura della mente e della
materia, ma anche la natura dei quattro elementi che costituiscono il
corpo: gli elementi di Terra (l’intera gamma del peso, dalla leggerezza
alla pesantezza), gli elementi d’Acqua (gli elementi della coesione, dei
legami), gli elementi di Fuoco (l’intera gamma della temperatura, dal
caldo fino al freddo) e gli elementi d’Aria (l’intera gamma del
movimento). Anche la natura di questi elementi è impermanente.
Comprendere la natura delle cose significa comprendere che sono tutte
impermanenti (anicca), insoddisfacenti (dukkha) e prive di essenza
(anattâ).
Dunque, come si pratica la meditazione?
Si incomincia osservando i cinque precetti e praticando la
concentrazione della mente. Come oggetto per la concentrazione si prende
il respiro, rivolgendo l’attenzione alle narici e a ogni passaggio
dell’aria in ingresso o in uscita.
(continua) lunedì, 10 dicembre 2007
Nessun commento:
Posta un commento